GIOCO DI SQUADRA, SPORT DA AZIENDA

L’indomani di una gara di cui avevo sentito parlare ma, sinceramente, non ho seguito in diretta, leggo casualmente questa frase sui social: “Se dovessimo scegliere uno dei momenti più commoventi dei weekend del mese, sceglieremmo sicuramente questo: il fisioterapista della Nazionale di Rugby Riccardo Lenzi che all’ultimo minuto di partita corre come un disperato dietro a Capuozzo indicandogli il passaggio per Padovani. Passaggio che arriverà puntuale, per una meta che significherà vittoria storica per l’Italia”. Mi piace lo sport e non è un mistero per nessuno soprattutto se si leggono i vari articoli che ho scritto in passato.

Mi piace perché è una fonte inesauribile di metafore sul cameratismo, sul senso di appartenenza ad una squadra, sull’affidarsi al proprio capitano. Allora decido di aprire quell’articolo e di leggere cosa fosse successo. Guardo alcuni video, me li gusto e, ancora una volta, emozioni allo stato puro.

L’Italia del rugby ha ottenuto una vittoria storica in Galles, col punteggio di 21-22. Sul filo di lana. Al termine della partita Josh Adams, che era stato scelto come “Man of the Match”, ha offerto la sua medaglia al nostro Capuozzo per la sua splendida azione che è valsa la vittoria agli azzurri. Che gesto! Che sport il rugby, ragazzi!

Adams e Capuozzo si sono abbracciati, e lo stesso Capuozzo dopo alcuni istanti, ha ridato il riconoscimento all’avversario gallese. Questa è l’Italia che vogliamo vedere sempre! Una squadra che sembra allo stremo delle forze ma forse qualche residuo di energia c’è l’ha ancora. All’ultimo minuto, una maglia azzurra salta la linea difensiva, e quando gli si fa incontro l’ultimo avversario, ecco l’aiuto del compagno che corre in mezzo ai pali finendo ciò che tu ormai non avevi più la forza di portare avanti.

Mi ripeto: che sport il rugby, ragazzi!

Si avverte un grande senso di rispetto quando si guarda una partita di rugby. Rispetto nei confronti dell’avversario e rispetto nei confronti dell’arbitro. Non esiste che un giocatore possa prevaricare la sua autorità. Nessuno simula. Falli, infortuni… Si gioca sempre pulito, rispettando tutte le regole. Si gioca in modo corretto. Prima volano botte da orbi e poi ci si ritrova a fare festa a fine gara, insieme al nemico, come in un rito sacrosanto.

“Nel rugby ho intravisto da subito uno spunto per far capire meglio l’importanza delle dinamiche di gruppo all’interno di un’azienda. Quando riunivo il mio team, spesso utilizzavo delle diapositive con delle foto di azioni di gioco e spiegavo loro quanto stava succedendo, riportando poi la metafora nel concreto del lavoro quotidiano. E funzionava, perché il rugby ha un obiettivo preciso e si vince solo quando si raggiunge la meta, fisicamente. Poi, si soffre tutti insieme, ma non per modo di dire, proprio in concreto: quando ci si fa male, ci si fa male davvero. Perché nel rugby il cuore di tutto è il gruppo: non esiste l’individuo, la star che emerge e ti risolve la partita, come può capitare in altri sport; qui si deve cooperare, l’azione la si costruisce insieme e la palla può avanzare, solo se tutti fanno il loro meglio nel ruolo a loro assegnato”.

Questo quanto raccontato da un ex pilone, Maurizio Calenti, che ha giocato per 15 anni, dai 20 ai 35 anni, ad alti livelli, fino a che un infortunio non ha interrotto l’avventura.

«Spesso ho sfruttato le mie conoscenze in questo sport come base per i motivational speech al mio team. È uno sport che ben si presta per capire da dentro le dinamiche manageriali».

Un gioco di squadra, uno “sport” da azienda.

Il punto è proprio questo però. Non siamo abituati ad uno sport così nobile. Tutt’ora il rugby è uno sport poco praticato a livello nazionale e altrettanto poco conosciuto. Nonostante negli ultimi anni si stiano accendendo sempre più riflettori attorno a questa disciplina, noi siamo ancora lontani anni luce da quel senso di rispetto e di correttezza.

L’idea che, una volta in area di rigore, appena si viene sfiorati dal difensore, ci si lasci cadere a terra come se dalle tribune un cecchino ci avesse sparato un colpo, è molto più radicata in noi ahimè. Credo sia proprio per questo che in molte aziende percepisco aria di diffidenza, mi guardano con sospetto come se la mia presenza avesse l’unico scopo di fregare “il padrone”. Come se fossi il più leggero degli attaccanti che è lì apposta per ingannare l’arbitro.

Ti rincuoro dicendoti che non è così: io sono il fisioterapista della Nazionale di Rugby che corre come un disperato dietro a Capuozzo indicandogli il passaggio per Padovani. Sono il dodicesimo uomo in campo, se di calcio vogliamo parlare. Sono il “vecchietto” in panchina che sprona i suoi compagni per novanta minuti a dare il massimo.

Non voglio fregarti!

Voglio farti vincere il campionato!

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