Mese: Aprile 2022

GIOCO DI SQUADRA, SPORT DA AZIENDA

L’indomani di una gara di cui avevo sentito parlare ma, sinceramente, non ho seguito in diretta, leggo casualmente questa frase sui social: “Se dovessimo scegliere uno dei momenti più commoventi dei weekend del mese, sceglieremmo sicuramente questo: il fisioterapista della Nazionale di Rugby Riccardo Lenzi che all’ultimo minuto di partita corre come un disperato dietro a Capuozzo indicandogli il passaggio per Padovani. Passaggio che arriverà puntuale, per una meta che significherà vittoria storica per l’Italia”. Mi piace lo sport e non è un mistero per nessuno soprattutto se si leggono i vari articoli che ho scritto in passato.

Mi piace perché è una fonte inesauribile di metafore sul cameratismo, sul senso di appartenenza ad una squadra, sull’affidarsi al proprio capitano. Allora decido di aprire quell’articolo e di leggere cosa fosse successo. Guardo alcuni video, me li gusto e, ancora una volta, emozioni allo stato puro.

L’Italia del rugby ha ottenuto una vittoria storica in Galles, col punteggio di 21-22. Sul filo di lana. Al termine della partita Josh Adams, che era stato scelto come “Man of the Match”, ha offerto la sua medaglia al nostro Capuozzo per la sua splendida azione che è valsa la vittoria agli azzurri. Che gesto! Che sport il rugby, ragazzi!

Adams e Capuozzo si sono abbracciati, e lo stesso Capuozzo dopo alcuni istanti, ha ridato il riconoscimento all’avversario gallese. Questa è l’Italia che vogliamo vedere sempre! Una squadra che sembra allo stremo delle forze ma forse qualche residuo di energia c’è l’ha ancora. All’ultimo minuto, una maglia azzurra salta la linea difensiva, e quando gli si fa incontro l’ultimo avversario, ecco l’aiuto del compagno che corre in mezzo ai pali finendo ciò che tu ormai non avevi più la forza di portare avanti.

Mi ripeto: che sport il rugby, ragazzi!

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SFIDA AI PREGIUDIZI

“Boston 1967. La maratona più antica del mondo è appena partita. Il direttore di gara, Jock Semple, è soddisfatto e segue la competizione dal bus dei giornalisti.

All’improvviso i cronisti si fiondano tutti dalla stessa parte del pullman, sgomitando per catturare lo scatto migliore. “Una donna, quella è una donna!” La maratona è una gara da uomini, uomini duri, maschi veri. Uno sport non per donne, insomma.

Siamo nel 1967 e questa disciplina è vietata alle donne. Troppo fragili, le fanciulle. Lo sostengono anche illustri medici. Non importa che, tra lavoro, famiglia e regole di una società ancora estremamente maschilista, milioni di donne sostengano carichi tranquillamente paragonabili a quelli di una corsa, seppur tanto faticosa.

Nessuno sembra farci caso. L’anno prima un’altra donna, Bobby Gibb, aveva corso la maratona, ma in incognito e senza iscrizione.

Nessuna traccia negli annali, nessuna conseguenza. Stavolta è diverso. Kathrine Switzer si è regolarmente iscritta, seppur con lo stratagemma delle iniziali puntate, K.V. Switzer. Le hanno dato una pettorina, la nr. 261, come fosse un uomo.

Kathrine Switzer è stata la prima donna a correre la maratona di Boston. Quando l’organizzatore Jock Semple realizzò che una donna stava partecipando tentò di fermarla. Jock Semple è incredulo, non ci vede più dalla rabbia. Scende dal bus e si lancia sull’atleta per bloccarla. “Non ce la farà comunque a terminare la gara”, pensa Jock, ma l’immagine dello sport virile va tutelata. Volano spintoni, strattoni e qualche colpo basso, ma Kathrine corre veloce, molto veloce.

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