Donne e Meccanica

DONNE AL VOLANTE

Ricordo di aver letto un anno fa circa sul Corriere della Sera un articolo dedicato ad Alessandra Zinno e alla sua nomina a direttore generale dell’autodromo di Monza.

Arrivata nell’anno più difficile di sempre, quello del Gran Premio a porte chiuse, ma soprattutto dell’emergenza sanitaria che ha colpito duramente la Brianza nella seconda ondata, a poche settimane dal suo insediamento, Alessandra Zinno, romana, laurea in Giurisprudenza e una carriera in Aci, non ci ha pensato un secondo e il 9 novembre 2020 ha aperto le porte del circuito più famoso al mondo per istituire con Areu un check point sanitario. Nei giorni scorsi invece ha accompagnato i vertici di Regione Lombardia per un sopralluogo per realizzare un punto per la campagna vaccinale nel tempio della velocità.

«Abbiamo individuato uno spazio di 700 metri quadri sotto le tribune centrali con un ampio parcheggio – spiega -. È un luogo ideale perché ha un accesso indipendente che permette all’autodromo di mantenere inalterato il calendario di attività. La speranza è di tener compagnia ai cittadini e ai sanitari con quella che io considero la musica dei motori».

Alessandra Zinno, 58 anni, due figli, sa di essere una mosca bianca in un mondo, quello dei motori, prettamente maschile. «È un incarico che mi inorgoglisce. Monza, dopo Indianapolis, è l’autodromo più antico al mondo, un monumento nazionale che l’anno prossimo festeggia il secolo di vita». Da ragazza, praticava danza classica, poi abbandonata per l’atletica. «Ho sempre amato lo sport, la sfida, la competizione sana. Anche la direzione dell’autodromo è una sfida. Entro in un mondo machista e ho l’occasione di portare un tocco femminile. Credo molto nel pragmatismo di noi donne, nell’attitudine al problem solving e nella capacità di gestire in modo oculato le risorse».

I cliché sulle donne al volante la fanno sorridere: «Mi piace guidare, mi rilassa. So anche cambiare una gomma, ma se devo guardare dentro il cofano preferisco affidarmi ad un meccanico». Il mondo delle competizioni motoristiche l’ha sempre affascinata: «Non solo i Gp, ma anche i rally che ho seguito per passione anche in condizioni estreme. Ho avuto la fortuna di provare l’ebrezza della velocità su una macchina da rally». Per il centenario dell’autodromo sogna 12 mesi di iniziative a partire da settembre per raccontare le imprese memorabili di Monza.

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GIOCO DI SQUADRA, SPORT DA AZIENDA

L’indomani di una gara di cui avevo sentito parlare ma, sinceramente, non ho seguito in diretta, leggo casualmente questa frase sui social: “Se dovessimo scegliere uno dei momenti più commoventi dei weekend del mese, sceglieremmo sicuramente questo: il fisioterapista della Nazionale di Rugby Riccardo Lenzi che all’ultimo minuto di partita corre come un disperato dietro a Capuozzo indicandogli il passaggio per Padovani. Passaggio che arriverà puntuale, per una meta che significherà vittoria storica per l’Italia”. Mi piace lo sport e non è un mistero per nessuno soprattutto se si leggono i vari articoli che ho scritto in passato.

Mi piace perché è una fonte inesauribile di metafore sul cameratismo, sul senso di appartenenza ad una squadra, sull’affidarsi al proprio capitano. Allora decido di aprire quell’articolo e di leggere cosa fosse successo. Guardo alcuni video, me li gusto e, ancora una volta, emozioni allo stato puro.

L’Italia del rugby ha ottenuto una vittoria storica in Galles, col punteggio di 21-22. Sul filo di lana. Al termine della partita Josh Adams, che era stato scelto come “Man of the Match”, ha offerto la sua medaglia al nostro Capuozzo per la sua splendida azione che è valsa la vittoria agli azzurri. Che gesto! Che sport il rugby, ragazzi!

Adams e Capuozzo si sono abbracciati, e lo stesso Capuozzo dopo alcuni istanti, ha ridato il riconoscimento all’avversario gallese. Questa è l’Italia che vogliamo vedere sempre! Una squadra che sembra allo stremo delle forze ma forse qualche residuo di energia c’è l’ha ancora. All’ultimo minuto, una maglia azzurra salta la linea difensiva, e quando gli si fa incontro l’ultimo avversario, ecco l’aiuto del compagno che corre in mezzo ai pali finendo ciò che tu ormai non avevi più la forza di portare avanti.

Mi ripeto: che sport il rugby, ragazzi!

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SFIDA AI PREGIUDIZI

“Boston 1967. La maratona più antica del mondo è appena partita. Il direttore di gara, Jock Semple, è soddisfatto e segue la competizione dal bus dei giornalisti.

All’improvviso i cronisti si fiondano tutti dalla stessa parte del pullman, sgomitando per catturare lo scatto migliore. “Una donna, quella è una donna!” La maratona è una gara da uomini, uomini duri, maschi veri. Uno sport non per donne, insomma.

Siamo nel 1967 e questa disciplina è vietata alle donne. Troppo fragili, le fanciulle. Lo sostengono anche illustri medici. Non importa che, tra lavoro, famiglia e regole di una società ancora estremamente maschilista, milioni di donne sostengano carichi tranquillamente paragonabili a quelli di una corsa, seppur tanto faticosa.

Nessuno sembra farci caso. L’anno prima un’altra donna, Bobby Gibb, aveva corso la maratona, ma in incognito e senza iscrizione.

Nessuna traccia negli annali, nessuna conseguenza. Stavolta è diverso. Kathrine Switzer si è regolarmente iscritta, seppur con lo stratagemma delle iniziali puntate, K.V. Switzer. Le hanno dato una pettorina, la nr. 261, come fosse un uomo.

Kathrine Switzer è stata la prima donna a correre la maratona di Boston. Quando l’organizzatore Jock Semple realizzò che una donna stava partecipando tentò di fermarla. Jock Semple è incredulo, non ci vede più dalla rabbia. Scende dal bus e si lancia sull’atleta per bloccarla. “Non ce la farà comunque a terminare la gara”, pensa Jock, ma l’immagine dello sport virile va tutelata. Volano spintoni, strattoni e qualche colpo basso, ma Kathrine corre veloce, molto veloce.

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Donne e Meccanica

GIOCHIAMO?

“Quante volte le mie amiche mi hanno guardata male perché ho saltato un sabato sera in discoteca per riposare in vista della partita del giorno dopo.

Quante volte sono stata zittita in una discussione con dei ragazzi, sentendomi dire che tanto le donne non possono capire nulla di basket. Quante volte mi sono sentita deridere quando raccontavo che sport praticavo, ricevendo sempre la solita ironica domanda “ah, ma perché esiste pure il basket femminile?” Perché verrai etichettata come maschiaccio, e ti dicono che le donne devono fare danza, o giocare a pallavolo, o comunque praticare sport senza un contatto fisico.

Perché altre volte ti diranno che non dovresti fare nessuno sport, che il posto delle donne è in cucina o a stirare o a fare la maglia o altre minchiate del genere, colme di ignoranza e maschilismo. Perché ti prenderanno in giro per la divisa, dicendo che è larga e brutta e troppo mascolina, e che dovresti giocare con dei pantaloncini più attillati che mettano più in risalto il culo, come fanno quelle del volley, guardale, loro sì che sono fighe.

Perché verrai giudicata in base all’estetica, e non importa quanto pulita sia la tua tecnica di tiro, quanto la tua percentuale in lunetta sfiori la perfezione o quanto visionari siano i tuoi assist in contropiede, a qualcuno la prima cosa che verrà in mente nel vederti giocare sudata, struccata e coi capelli raccolti, non sarà sulle tue doti tecniche ma sarà sul fatto che sei figa o più probabilmente sei un cesso.

Perché ti diranno che il basket femminile fa schifo, non lo guarda nessuno, si segna poco, non si schiaccia mai, si sbagliano i terzi tempi, si tira dal petto, solamente perché saranno portati a fare paragoni col basket maschile, dimenticandosi però che gli uomini hanno tutta un’altra forza fisica, un’altra struttura corporea, più altezza, più potenza, più elevazione. Perché verrai bollata come lesbica anche se non lo sei, solo per il fatto di giocare ad uno sport considerato “maschile”.

E se pure fossi lesbica, o qualsiasi altra cosa, spesso non potrai vivere liberamente le tue scelte personali e legittime perché ci sarà sempre qualcuno che dovrà giudicare le vite degli altri, probabilmente per via dello scarso interesse per la propria.

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LUNGA VITA AL RE!

La frase tradizionalmente più utilizzata per annunciare la morte di un sovrano e contemporaneamente assicurare il suo successore al trono è «Il re è morto, lunga vita al re!». Anche se, a dirla tutta, la frase è maggiormente conosciuta solo per la seconda proposizione. Diciamo che può sembrare una frase contraddittoria proprio perché è ambivalente. Tutte le volte che sento questa frase, la mia mente vola a scenari medievali e a funerali vichinghi. Arrivando ai giorni nostri, la frase è approdata anche nell’uso comune per indicare, anche scherzosamente, quel concetto che è già ben noto come «Morto un Papa, se ne fa un altro». Concetto che siamo sempre più abituati ad utilizzare nella nostra quotidianità anche per il fatto che viviamo in una società ormai estremamente consumistica in cui non abbiamo più l’abitudine a manutenzionare una macchina o un dispositivo, ma passiamo direttamente a sostituirlo. E questo andrebbe anche bene se ci limitassimo a sostituire lo smartphone che si scheggia appena prende una botta. Ma quando sei in produzione e il tuo personale è abituato ad utilizzare una determinata tecnologia, non puoi permetterti di dismettere il tuo transfer. Non puoi permetterti di sostituirlo con tempistiche ragionevoli, con investimenti ragionevoli. Devi prevenire la morte del re della tua produzione. Perché in questo caso, morto un Papa, non se ne fa un altro tanto facilmente.

La domanda allora è: come mantieni in vita il tuo re?

Semplice, con una revisione a modo mio.

La mia missione è una revisione a regola d’arte: rimettere a nuovo il tuo transfer, con i vantaggi di una macchina familiare all’operatore e consolidata nel flusso di produzione dell’Azienda, ma dimenticandosi dei fermi macchina e della manutenzione straordinaria dovuta all’usura dei componenti. Superfici critiche? Rettificate. Diametri importanti? Rialesati. Cuscinetti consumati? Cambiati. Guarnizioni? Sostituite. Comandi via Camme? Rimpiazzati con PLC dove vantaggioso. Quadro Elettrico? Rifatto con aggiunta di assi CNC. Basta con le macchie d’olio a terra e alla contaminazione del lubrificante in vasca. Stop a finiture non all’altezza, tolleranze non tenute e alla vita breve di utensili dovuta a meccaniche usurate.

Come se la macchina ritornasse a nuovo? Ancora meglio: La produzione è più affidabile e flessibile e si lavora in maggiore sicurezza. Il mio metodo è preciso ed affidabile e anche in caso di problematiche del macchinario riscontrate in corso d’opera, è veloce nella risoluzione degli imprevisti. Procuriamo componenti di ricambio speciali con tempistiche celeri grazie alla nostra consolidata rete di fornitori di componenti di ricambio stock e di officine dalle comprovate capacità tecniche che realizzano con noi componenti su misura di alta precisione non offerti altrimenti dal mercato.

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“I 5 MODI PER CAPIRE CHE IL TUO TRANSFER STA SALTANDO PER ARIA”

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